Dio fa preferenze? - 3
Per quanto strano possa sembrare, il Dio cristiano ha delle preferenze, fa delle scelte: “Quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti”, dice san Paolo nella seconda lettura di oggi (1Cor 1,27s.): e san Giacomo aggiunge: “Dio ha scelto i poveri nel mondo, che sono ricchi nella fede” (Gc 2,5). Allo stesso modo, le Beatitudini annunciano le scelte di Dio, ampliando il messaggio centrale di Gesù: è arrivato per voi il Regno di Dio ed è arrivato qui sulla terra, nella storia di ogni uomo, in particolare in quella dei poveri, degli ultimi, di coloro che sono prostrati sotto il peso del male, magari di quello del quale loro stessi sono responsabili. Ma Dio non guarda i loro meriti, bensì la loro sofferenza. Per comprendere la forza di queste parole, le potremmo parafrasare così: “Beati i peccatori, perché ad essi Dio consegna la sua presenza amorosa e liberante”. L’uomo accoglie le scelte di Dio con la fede, cioè con il riconoscimento del proprio bisogno e della propria impotenza, ma anche con l’umile e sollecito mettersi in quei “luoghi” che Dio visita e il mondo disprezza: la mitezza, la misericordia, il desiderio sincero di compiere il giusto, la ricerca della pace con tutti.
Se la Chiesa fa proprie le scelte di Dio, dovrà continuamente subire la contestazione e lo sberleffo, talvolta la persecuzione del mondo. Il mondo assorbe facilmente una Chiesa forte, turrita città di Dio: il gioco è semplice, basta aprire un tavolo di negoziato sulla spartizione delle sfere d’influenza, creare alleanze sulla base di reciproche convenienze. Si useranno formule di tono sommesso, per esempio, il valore “educativo” delle leggi, la necessità che esse si ispirino a una dimensione valoriale. Il regime negoziale potrà scadere in accordi nei quali il denaro e il potere avranno una funzione anestetica nei confronti di un ruolo profetico. Certo, una Chiesa di popolo, che si sente responsabile verso il territorio nel quale vive, non può disinteressarsi della storia; tuttavia, deve cercare delle protezioni, perché il pericolo di essere coinvolta nell’idolatria è sempre presente; e gli idoli sono “muti” (1Cor 12,2), cioè non possono dire nulla che sia veramente importante per l’uomo e rendono muti, incapaci di parlare, coloro che bruciano loro incenso. Tante volte, la quantità esorbitante di parole, aggravata oggi dalla potenza mediatica, può nascondere la difficoltà di dire parole semplici e liberanti.
Ora, la protezione che la Chiesa ha a disposizione sono proprio i poveri. Essi non sono migliori dei ricchi, sono anch’essi dei peccatori; ma stare vicino a loro permette di condividere un po’ della benedizione che Dio, nella sua pietà e misericordia, ha loro riservato. Se stiamo vicino ai poveri, è più difficile che qualcuno ci inganni. La storia della Chiesa e l’esperienza dei santi dimostra questo assunto: vi è un istinto che porta a incontrare il povero, come vediamo anche oggi, per esempio nella frequentazione da parte di tanti delle Case della Carità. Lo stare vicino all’uomo nelle sue fragilità ci porta più vicini alla verità, ci rende più liberi, ci restituisce la parola, che sarà sempre una parola buona, una parola che dà vita, consolazione e gioia; anzi, sarà la nostra vita a diventare parola.
Se la Chiesa fa proprie le scelte di Dio, dovrà continuamente subire la contestazione e lo sberleffo, talvolta la persecuzione del mondo. Il mondo assorbe facilmente una Chiesa forte, turrita città di Dio: il gioco è semplice, basta aprire un tavolo di negoziato sulla spartizione delle sfere d’influenza, creare alleanze sulla base di reciproche convenienze. Si useranno formule di tono sommesso, per esempio, il valore “educativo” delle leggi, la necessità che esse si ispirino a una dimensione valoriale. Il regime negoziale potrà scadere in accordi nei quali il denaro e il potere avranno una funzione anestetica nei confronti di un ruolo profetico. Certo, una Chiesa di popolo, che si sente responsabile verso il territorio nel quale vive, non può disinteressarsi della storia; tuttavia, deve cercare delle protezioni, perché il pericolo di essere coinvolta nell’idolatria è sempre presente; e gli idoli sono “muti” (1Cor 12,2), cioè non possono dire nulla che sia veramente importante per l’uomo e rendono muti, incapaci di parlare, coloro che bruciano loro incenso. Tante volte, la quantità esorbitante di parole, aggravata oggi dalla potenza mediatica, può nascondere la difficoltà di dire parole semplici e liberanti.
Ora, la protezione che la Chiesa ha a disposizione sono proprio i poveri. Essi non sono migliori dei ricchi, sono anch’essi dei peccatori; ma stare vicino a loro permette di condividere un po’ della benedizione che Dio, nella sua pietà e misericordia, ha loro riservato. Se stiamo vicino ai poveri, è più difficile che qualcuno ci inganni. La storia della Chiesa e l’esperienza dei santi dimostra questo assunto: vi è un istinto che porta a incontrare il povero, come vediamo anche oggi, per esempio nella frequentazione da parte di tanti delle Case della Carità. Lo stare vicino all’uomo nelle sue fragilità ci porta più vicini alla verità, ci rende più liberi, ci restituisce la parola, che sarà sempre una parola buona, una parola che dà vita, consolazione e gioia; anzi, sarà la nostra vita a diventare parola.
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