gli strati del silenzio

Il silenzio è un simbolo che ha più dimensioni o strati e indica pertanto in più direzioni. Esso trae la sua forza dalla situazione di vita con cui è di volta involta in relazione. La vita può essee vissuta a varie profondità. Ciò che chiamiamo "silenzio" proviene da queste differenti profondità della vita e, se noi siamo disposti, può guidarci fin dentro ad esse.
Sulla scorta dei quattro stati del brahman (dell'Essere), la veglia, il sogno, il sonno profondo privo di sogni e lo stato al di là di ogni atato, possiamo distinguere  nel silenzio quattro momenti ben  distinti.
-        Primo: il soffocamento delle parole. Si tace nonostante si abbia molto da dire. Si tace per prudenza, per accortezza o per paura. Tale silenzio è un ammutolire. Esercita una violenza, mozza il respiro. Calcola mentre distingue e separa. Nel separare isola il vivente e gli toglie il respiro vitale. Impedisce il flusso della vita.
-        Secondo:lo sbigottimento delle parole. Si tace per smarrimento, x inadeguatezza o per insipienza. E' un silenzio che produce distanza, che rifugge il contatto. Lascia atrofizzatre e consumare il rapporto vivo. Nell'isolamento sta in agguato la morte.
-        Terzo: l'inadeguatezza delle parole. Si tace perchè si avverte di essere alle prese con qualcosa di inesprimibile. Si tace per impossibilità di esprimere ciò di cui si è avuta esperienza. Si ha sentore dell'indicibile e se ne è consapevoli. E' il silenzio di chi rimane senza parola. Lo stupore dinanzi al mistero. Il suo pericolo è l'irrigidirsi e il rimanere bloccati. Qui l'uomo, per lo più inconsapevolmente, è posto dinanzi a una decisione: affermare la vita o scegliere la razionalità. La razionalità: il tentativo di tradurre dell'indicibile in parole e in concetti. La vita: il rischio di lasciarsi prendere dall'indicibile rimanendo nel silenzio. Ciò porta alla quarta distinzione.
-        Quarto: l'assenza di parole. Il silenzio, qui, non è uno "stare in silenzio", un azzittirsi in mezzo al frastuono. E non è neppure un tacere perchè non si ha niente da dire; piuttosto, si tace perchè non c'è nulla da dire o, come afferma un'altra Upanisad, perchè "ciò che la parola non dice" è (brahman): Qui la parola non esaurisce la realtà. Il silenzio è silenzio della parola. La parola non è più presente. Resta solo il silenzio. Non è l'annientamento della parola, ma la sua assenza – dal momento che non si presenta più nulla di essente. Ci prefiggiamo ora di trattare questa quarta modalità del tacere: "Ciò di cui non si può parlare " (Wittgenstein) è proprio ciò che deve essere esperito in quanto silenzio. "
    
Raimon Panikkar

 

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