distacco



Distacco, rottura, rinuncia. Asperità e monotonia delle settimane, dei mesi, degli anni immutati. L’implacabile appello di Dio non ha lasciato che il gusto dell’essenziale e l’essenziale sfugge. Il quotidiano è popolato di fastidi, di pericoli. Se ci sono delle gioie, un’urgenza segreta ci ricorda che devono essere attraversate. La notte dei sensi, dell’intelligenza, dello spirito potrebbe ben chiamarsi deserto, secondo un’immagine ruysbroeckiana. Si accusa tutto con intensità: tentazioni e repulsioni, paure e sensazioni di vuoto e d’assenza. Non c’è che esodo e niente estasi, e il Solo è percepito nella solitudine con Lui. La carovana umana è sentita allora solo come schiavitù. Tuttavia l’esodo ha senso solo per la terra promessa, e questa assenza è il rovescio e l’annuncio della Presenza. La fedeltà alla marcia monotona in un deserto bruciato è l’atto di fede che Dio domanda: fede nuda che include la speranza senza che essa lo sappia e s’identifica con l’amore perfetto nella perfetta solitudine; fede che è anticipazione, già possesso, insensibile alla coscienza, dell’unità estatica con il Solo. La rinuncia in questa vita a sperimentare questo amore sponsale e adorante può essere, secondo la legge di sostituzione, l’invito  e l’entrata in quell’amore Amore di coloro che, chiamati alla fede nei deserti dell'Arabia e diffusi nella falce di luna dal deserto del Gobi a quello del  Rio de Oro, a immagine della loro madre Agar, cacciata nel deserto con Ismaele e la cui preghiera fece sgorgare la fonte di vita, restano tuttavia privati del senso e delle  gioie di questa Presenza e di questo Amore.
     
Jules Monchanin   

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