inutile



A chi ci chiede “a cosa serve” bisogna dire, scandalosamente, che la preghiera non serve a nulla; come non serve a nulla l’amore, l’arte, la bellezza: le realtà più grandi che abbiamo finto di apprezzare perché “faceva colto, faceva fino”; ma in realtà, le abbiamo accumunate in un medesimo disprezzo (un innamorato, un poeta, nella mentalità corrente, equivalgono a un “mistico”; e non mi offenderò di accostamenti che mi onorano e che trovo perfettamente logici e coerenti; e se non sono mistica vorrei essere almeno poeta e innamorata). Nell’eccezione consumistica (servire per avere, accumulare, fare) la preghiera non serve: è un bel mazzo di fiori che mettiamo sul tavolo. Potremmo farne a meno: si mangia lo stesso. Però non si pranza, non si cena. La dimensione della convivialità ha bisogno di un poco di gratuito: i fiori sul tavolo,  o il micio sotto, o la tovaglia colorata, o anche solo il nostro sorriso. Neanche sorridere serve. La bocca si apre utilmente per mangiare e per dare direttive; il sorriso è un di più. A questo mondo disumano, fatto di direttive e di risultati tangibili, distribuiamo sorrisi, baci, gatti, musica, sogni, preghiere, gratuità. Questo è il maggiore affronto, la controcultura più profonda.

Adriana Zarri

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