il silenzio delle segrete cose



«E sono il silenzio delle segrete cose»: è il Dio supremo, nella forma di Krishna, a dichiararlo in una strofe famosa della Bhagavadgita (X, 38 c), il testo sacro che milioni di hindu considerano e conoscono come il loro Vangelo. Nel passo Egli ha affermato di essere l’essenza e il fine di ogni aspetto della manifestazione: «il gioco dei giocatori io sono, / io lo splendore degli splendidi… io sono il potere dei potenti… io sono il sapere dei sapienti» (X, 36 e 38). Ma la dichiarazione riguardo alle «segrete cose» ha un’altra levatura: Dio è l’essenza del mistero, cioè il silenzio dell’ineffabile.
Per la religiosità hindu, infatti, il silenzio è la dimensione dell’Assoluto, inconcepibile e immanifesto. C’è dunque un’intima, indissolubile relazione fra silenzio ed «Essere», unitario, immobile. Così, con perfetta corrispondenza, la dinamica che muove dal silenzio, passa attraverso i suoni “udibili” solo interiormente, poi i suoni concreti e approda alle parole articolate è esattamente parallela al dispiegamento metafisico dell’universo dall’unico alla molteplicità e, per certi aspetti, lo prefigura e lo determina. Ne deriva che, per rientrare nell’unità divina si deve compiere a ritroso il cammino dalle parole, e perciò dal pensiero, ai suoni trascendenti e infine al silenzio, cioè all’Assoluto unitario.

Giuliano Boccali

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